La triste storia di Isabella Bellezza Orsini, la strega di Filacciano

La triste storia di Isabella Bellezza Orsini

Nel 1528, infatti, sotto la Signoria degli Orsini accadde un episodio che vale la pena di essere raccontato.
A Filacciano viveva una donna a nome Isabella Orsini, figlia naturale illegittima di Pietro Angelo Orsini del ramo di Mugnano Foglia. Isabella era una donna sabina piuttosto acculturata. Era nata a Collevecchio, un paese poco distante da Filacciano e confinante con Ponzano, tra il 1475 ed il 1480.  Si legge negli atti che all’epoca dei fatti aveva “tra i 40 ed i 50 anni” ed era ancora una donna avvenente.

Da ragazza era talmente bella che  tutti presero a chiamarla con il nome diminuitivo vezzeggiativo di Bellezza. Isabella, ora Bellezza, venne data in sposa, ancora giovinetta, ad un cerusico, un medico dell’epoca, tale Angelo Orsini, del quale però rimase presto vedova ma che gli diede un figlio che chiamarono Giovanni. Rimasta vedova e sola, sul finire del 1490 si mise a cercare un lavoro che trovò a servizio del Conte Orsini a Monterotondo come cuoca.  In quel paese conobbe una donna di Ponzano, tale Lucia de Lorenzo, costì imprigionata perché accusata di essere una fattucchiera e con la quale divenne amica. Lucia  le insegnò a riconoscere le erbe, a raccoglierle e combinarle fra loro per darle proprietà curative. Da lei però imparò anche formule magiche ed evocative.
…incominciai (a fare la strega n.d.r.) nanti che li franciosi venissero in questo paese. Io rimasci vidua, era una jovene, quasi pucta, e cusì fui presa da questi signori e stava a Monte Rotondo.”. I francesi di Carlo VIII giunsero a Monterotondo nel 1494, ed è a questo che si riferisce Bellezza nella sua “confessione”.

Bellezza aveva imparato a guarire le persone e quindi si  trasferì a Filacciano con il figlio Giovanni. Nel piccolo borgo  Isabella – Bellezza curava i malati con le erbe con un discreto successo  e la sua fama di guaritrice rapidamente fece il giro dei paesi della valle del Tevere. Secondo alcuni storici è probabile che avesse imparato da suo marito i rudimenti della medicina (all’epoca ancora scienza piuttosto empirica) e che la Lucia De Lorenzo le avesse donato un esemplare dell’Herbolario volgare stampato a Venezia in più edizioni nel 1522, integrato da notizia e informazioni manoscritte trasmesse da Lucia, da conoscenze orali, dal lavoro del marito e da lei stessa vergate sull’esemplare a stampa.

Si noti che il legame con le varie famiglie Orsini che ebbe ad incontrare è confermato dalle sue relazioni con il Cardinale Giovanni Battista Orsini, zio del futuro cardinale  Franciotto Orsini, all’epoca signore di Monterotondo  e marito di Violante Orsini, il padre della quale era a sua volta figlio, questa volta legittimo del Pietro Angelo genitore di Isabella-Bellezza.  Questo suo legame fece si che la donna potesse vivere in ambienti colti, seppur da serva a nome Orsini. Per questo aveva grande dimestichezza con la lettura e la scrittura e possedeva quel libro fatto da 180 pagine di cui spesso si fa menzione nel processo. Ciò non significa che la donna non possedesse altri testi  o manoscritti.

   Purtroppo insieme alla fama arrivarono, come spesso accade, l’invidia e  la vendetta. Fu presto cacciata e bandita insieme ad altri da Filacciano per sospetta stregoneria. Ma non si allontanò molto e più volte rientrò chiamata dai suoi paesani per essere curati. Fu proprio per porre fine a questo tormentato rapporto con i filaccianesi che  Bellezza decise di partecipare ad una processione chiamata della “Perdonanza” da Filacciano a Roma a piedi.
Durante il viaggio un bambino a nome Camillo si sentì male e morì. Bellezza fu chiamata al suo capezzale  ma non potè fare niente per lui. Era condannata. I genitori del piccolo la accusarono infatti di omicidio  affermando di aver toccato il piccolo Camillo  che ebbe subito a sentirsi male.

Era il 1528 ed eravamo ancora nel periodo dell’Inquisizione. Isabella-Bellezza venne subito arrestata a tradotta a Fiano Romano, allora sede del Tribunale diretto da un giudice bambino, tale  Marco Calisto da Todi, e dal notaio Lucantonio da Spoleto. Il reato di omicidio si mutò presto in quello di essere una fattucchiera, poi in stregoneria e infine addirittura in essere “maestra di streghe”.
Vengono ascoltati diversi testimoni e, a detta di tutti, la donna è una pericolosa megera da temere, capace di infliggere terribili malanni fisici e morali alle persone che incappano nella sua ira.

Viene ascoltato un certo Gian Antonio Fascio, di Filacciano. Questi  racconta di una certa Giulia, moglie di Bernardino, di cui Bellezza si sarebbe invaghita e che sarebbe stata da lei costretta a letto da atroci dolori.

Poi un certo Cecco, anch’egli di Filacciano: “Io cognosco Bellezza, e hola per una mala femina e strea, e ognuno ha pagiura de fatti suoi. Ho inteso sempre mai, da che cognosco male e bene, che è una strea, e de quelle che sanno e guastare e acconciare. E tutti se dice adesso pubblicamente che è una strea e mastra. Io el so che fa cose grande, perché l’ho provata e so quel ch’è, e caro me costano le sue strearie: me fece stare l’altro anno quattro mesci in letto perché non li volsi imprestare certi denari”.

   Bellezza confessa di aver avuto rapporti con molti uomini, per puro piacere, ma non di essere una strega. Confessa anche di aver procurato donne, giovani, vecchie, vedove e sposate per soddisfare i desideri dei frati del convento di San Paolo. Di aver giaciuto con essi lei stessa per placare il suo bisogno di sentirsi desiderata. Ma il giudice non le da scampo.
Confessa anche di aver commesso del male prima di entrare nell’ordine e di essersi votata alla fede proprio per non incappare più in errore. I peccati di cui si dice rea, però, non hanno niente a che fare con la “strearia”, perché Bellezze confessa di aver seminato zizzania tra moglie e marito, di aver spergiurato contro qualche parente, di aver fornicato, senza decenza.
Anche un sacerdote depone contro di lei, dicendosi convinto dei suoi poteri malefici: “Bellezza, io la cognosco e te la do per una delle magior stree e poltrone che se trovino al mondo: strea, rnatre della strearia, e in tal cosa io non crediva, ma perché me lo ha facto provare, la poltrona, so’ stato forzato a crederle: me ha riunato, me fece stare infermo in lecto. E quando stava male, e quando male e peggio, me bisognò voltare con le linsoli in lecto e non trovai né medici né medicine me giovassero, e fui indirizzato ad uno streone, un prete di Civita ducata, che subito cognobbe, come mi vidde, la mia infermità e disce: “T’è stato dato ad mangiare el beverone da una donna che te vol male e fece star cusì, e se non havesso remediato, fra poco tempo serriste morto”. E cusì el dicto prete, o streone che fosse, con certe sue cose, untione, parole, e certe cose che me face pigliare per bocca, me fece rebuttare fora molte materie e mi mostrò che me havia dato ad mangiare la sperma de lo homo e lo marchese delle donne”.

   Le accuse contro di lei sono schiaccianti, tanto che il giudice Marco Calisto da Todi, decide di imprigionarla fino alla fine del processo nella rocca di Fiano. Bellezza ammette di essere una guaritrice, o santona, di preparare pozioni e cure medicamentose, con le quali però ammette anche di non aver mai fatto male a nessuno.  “Curo e medico ogni male, ogni limita, so guarire doglie francese, ossa rotte, chi fosse adombrato da qualche ombra cattiva e multe altre infirmità. Non feci mei se non bene, e per far meglio me so’ vestita de questo ordine de santo Francisco benedetto”.

   Nessuna di queste azioni però giustificherebbe una condanna per stregoneria. Tant’è che, quando a Bellezza vengono elencati i capi d’accusa, lei rinnega con forza, giurando di non avere niente a che fare con malefici e cose diavolesche. Il giudice la conduce allora dinnanzi alla sala delle torture, minacciando di sottoporvela . È solo allora che Bellezza, forse terrorizzata dai tremendi marchingegni che si ritrova davanti, si decide a parlare. E parla di “strearia” appunto, di trasmissioni di occulti e potenti poteri, di diavoli, di maestre, di orge, di amplessi con il proprio padrone e signore, satana appunto.  “Bisogna che una che vole essere strea inpari dall’altra strea, altramente non vale, e non possono morire che non lassino herede della strearia alle parenti loro, salvo non morissero de mala morte. E questo l’ò visto io: era una ad Colle Cechio che era stata e era strea, che era in fino de morte parichì dì e che non havia nesuno parente al mondo, salvo una gallina in casa; e cusì chiamò una sua vicina e dixe: Io non ce ho chiuvelli in questo mondo che possa caminare altro che questa gallina. Pigliala e dammela, che li voglio lassare l’arte della strearia. E cusì li fu data, e meseli el becco in bocca e sputoli nel dicto becco dentro, e dixe: Va, che tu sei mia herede, e cusì te concedo tucte mie ordini e rascione della strearia, e vattene via per me”.

   Nel racconto di Bellezza la presunta strega gallina pare si sia alzata in volo e non abbia fatto più ritorno. Pare che questa pozione portentosa, spalmata sul corpo della strega, riesca a conferirgli poteri soprannaturali, compreso quello di volare e di passare attraverso i muri. “Et cusì poi col dicto onguento ce ognemo, e dicemo: “Unguento, unguento, portame alla noce de Benevento”. E illì sollazamo e iocamo colli diavoli in cose grande, con tanto gran feste, soni, canti e balli, che non lo poteria mai raccontare”.

Gli incontri che Isabella Bellezza racconta di svolgere con il diavolo sono tristemente noti nei testi dei resoconti inquisitoriali. Bellezza venne dunque torturata per giorni, le vengono somministrati fino a dodici tratti di corda che portano alla slegatura delle sue articolazioni. I suoi racconti sono solo  la conseguenza di giorni di torture: le streghe si piegavano a dire quello che l’Inquisizione voleva sentire. Confessò ogni cosa: addirittura di essersi congiunta carnalmente con il Diavolo. Erano dichiarazioni strampalate e  fuori di senno ma il Conte di Pitigliano, un Orsini, che aveva giurisdizione su Fiano e poteva intervenire sollecitato dal figlio di Bellezza, non volle farlo.

Isabella-Bellezza, stremata dal dolore, nonostante il buio della cella dove era rinchiusa nei sotterranei del Castello di Fiano, chiamò a se il figlio che era anche suo difensore e a lui dettò le sue memorie in un quaderno che il giudice fece inserire integralmente negli atti del processo. Giunse così fino a noi restituendoci quasi la sua voce e la consapevolezza di stare di fronte ad una vera donna che sarebbe considerata un pò strana anche oggi.

   C’è una frase in quelle drammatiche righe che dice: “La concrusione, lu fonno: quante più cose cierchi de inparare tante più sonno quelle che trovi da ‘nparare, che prima nemanco ne tenevi sentimento, e più vai inanti più vo’ ire e non te ne cuntenti. Cusì è la strearia”.  Per lei la “strearia”  è la trasmissione della conoscenza.

Libertà.

Finito di dettare, congedò il figlio, rimase sola e si conficcò per due volte un chiodo arrugginito in una vena del collo. La trovarono in un lago di sangue. Sul suo viso c’era un sorriso. Sorredeva Bellezza perchè aveva beffato il giudice spietato che per lei  pretendeva  il rogo. Se avesse  prevalso lui, che voleva passare alla storia,  sarebbe morta tra le fiamme e il quaderno sarebbe stato distrutto, così prevedeva la legge per una strega.

Il suicidio invece evitò tutto questo e le sue memorie furono inserite integralmente nel fascicolo del processo. E’ così che è giunto a noi. È conservato negli scaffali della Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato e porta la data del 1540.

Evitato il rogo, Bellezza Orsini si è incastonata nell’anello della storia di Filacciano come  una pietra preziosa.

 

Bibliografia

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