La storia di Filacciano

Età arcaica

Nel territorio del comune di Filacciano sono stati rinvenuti reperti archeologici che attestano la presenza di una necropoli preromana in località Marisano, di cultura affine a quella FaliscaCapenate nella valle del Tevere. I reperti sono conservati nei magazzini del Museo archeologico di Capena.[4]

Età romana

Dopo la conquista di VeioCapenaPoggio Sommavilla e Faleri Veteres (Civita Castellana) da parte dei romani in epoca repubblicana guidati dal tribuno militare Marco Furio Camillo, l’area dell’odierno comune di Filacciano fu introdotta probabilmente nell’Ager Faliscum o Capenate, in epoca romana imperiale parte della Regio VII Etruria.

Il comune di Filacciano occupa la parte orientale dell’antico “Ager Capenas” e sorge su una collina che domina la valle del Tevere offrendo uno splendido panorama dei monti della Sabina.

Sull’origine del nome esistono tesi contrastanti: Filacciano sembrerebbe derivare o da “Felicianus”, imperatore o console romano che ne iniziò la costruzione, o da “Fiscon”, “Faliscanum”, “Faliscianum” che indurrebbe a ritenere i primi insediamenti di origine falisca, o, ipotesi più probabile e condivisa sia dal Nibby che dal Tomassetti, da “Fundus Flaccus” ovvero “Fondo di Flaccus”, antico proprietario romano di un appezzamento terriero situato in questa zona. A conferma di questa tesi molte terre circostanti traggono il loro nome dalle antiche famiglie romane proprietarie: così come dalla “gens Flavia” deriva Fiano e dalla “gens Pontia” deriva Ponzano, da “Fundus Flaccus” per corruzione derivererebbe “Flaccianus” oggi Filacciano.

Età medioevale

La prima notizia di un “fondus Flacciano” che ci giunge è del 779 e la si trova in una donazione fatta da un certo Zaro all’abbazia di Farfa.

Si può ipotizzare che nell’ager Capenas già in questo periodo ci fossero insediamenti e villaggi nati a partire dall’inizio del medioevo, cioè da quando, a causa delle invasioni barbariche, abitanti di antichi siti furono costretti a spostarsi in luoghi più sicuri dando origine a nuovi centri fortificati sorti in posizioni strategiche di difesa. Del resto l’abbazia di Farfa, proprietaria dal 779 del fondo di Filacciano, aveva funzione di controllo e di difesa dei terreni agricoli e delle vie di comunicazione terrestri e fluviali della zona, e Filacciano ricopriva un ruolo di importanza strategica in quanto parte di un sistema di avvistamento sulla valle del Tevere e detentore di un porto sul Tevere, come testimonia la menzione di un “custos fluminis” che doveva provvedere a che si pagasse la dogana per il bestiame. Quest’ultima notizia, che risale al 1670, si evince da una lettera del cardinale Antonio Barberini indirizzata agli abbati e ai priori in cui sono elencati i luoghi ove risiedevano custodi e gabellieri addetti al controllo del bestiame condotto al pascolo nella dogana e trova conferma in numerose pratiche conservate nell’Archivio storico di Filacciano che riportano la dicitura “Barca sul Tevere”.

Nell’817 il pontefice Stefano IV riconosce e conferma all’abbazia di Farfa il possesso di un “casalis Flaccianus”. Il casale doveva essere stato costruito tra il 790 e l’817 ad opera di monaci e doveva avere funzione di eremo e dimensioni modeste come si legge nell’inventario dei beni della Confraternita di Sant’Egidio. Successivamente (nel 980 circa) fu edificata la chiesa dedicata a Sant’Egidio Abate, eremita vissuto nell’osservanza degli insegnamenti di san Benedetto e per questo scelto dai monaci benedettini che vivevano a Filacciano.

Bisogna arrivare fino al 1339 per trovare nuovamente notizie su Filacciano: infatti ad un capitolo di domenicani, riunitosi a Roma per eleggere il procuratore generale prese parte un “frater Angelus de Filacciano”. Questo fa pensare che probabilmente già si era formato a Filacciano un centro abitato. Il nucleo più antico del paese è quello che attualmente costituisce la parte centrale del borgo (contrada Castello) e che era strutturato lungo un asse viario (l’attuale via Filocastello), che partendo da una porta adiacente ad una antica torre (inglobata poi in un castello ormai scomparso e sostituito nel secolo XVI dal palazzo dei Principi Del Drago) percorreva l’abitato terminando con un’altra porta a levante verso il Tevere. E’ forse in ricordo dell’antica torre che lo stemma del comune consiste nella rappresentazione di una torre.

Probabilmente, anche se nessun documento ci è giunto come testimonianza, intorno all’anno 1000 Filacciano diviene di proprietà della famiglia romana Crescenzi – Ottaviani che erano legati da rapporti amichevoli con l’abbazia di Farfa.

Sicuramente nel 1344 Filacciano apparteneva alla nobile famiglia degli Orsini. Ne abbiamo notizia nel testamento di Bertoldo Orsini del 17 marzo 1344 che lasciò alla figlia Palozza e alla moglie Giacoma delle rendite di Torrita e quattromila fiorini d’oro, di cui parte ipotecati sul castello di Filacciano che apparteneva evidentemente alla famiglia.

Età Rinascimentale

Sotto gli Orsini Filacciano ed i suoi abitanti conobbero una sanguinosa guerra che distrusse la torre, il castello e devastò i terreni circostanti.  Nel 1485 Ferrante d’Aragona, Re di Napoli, cercò di usare il suo potere militare per troncare il vincolo feudale che legava il Regno di Napoli alla Santa Sede. Nel mese di giugno rifiutò di consegnare le 8000 once d’oro previste nella cerimonia della chinea e organizzò l’invasione del Lazio. Papa Innocenzo VIII, consigliato dal cardinale Giuliano Della Rovere, ricevette il sostegno delle Repubbliche di Genova, di Venezia e della Francia, la quale sperava di riconquistare il trono di Napoli, già degli Angioini (1282 – 1442).

Successivamente convocò a Roma il condottiero Roberto Sanseverino e lo mise a capo del suo esercito (10 novembre 1485).

Re Ferrante, alleato di Firenze e di Milano, rispose con l’assunzione al proprio servizio degli Orsini, allora Signori di Filacciano, in qualità di condottieri. Nell’inverno 1485 l’armata napoletana, guidata da Alfonso, figlio di Ferrante, e rafforzata dalle truppe di Virginio Orsini, penetrò nel Lazio da Vicovaro e dai monti Sabini, ma non riuscì a raggiungere l’Urbe a causa della resistenza delle milizie pontificie. Il Sanseverino ordinò il contrattacco il 24 dicembre del 1485 quando giunse a Roma. Nel gennaio del 1486 il contrattacco fu coronato dalla conquista di Filacciano, Torrita, Mentana e ponte Nomentano. Il  Cardinale Battista Orsini si distaccò dalla famiglia e consegnò al Papa il feudo di Monterotondo mentre Alfonso Orsini d’Aragona fu costretto a riparare a Pitigliano, una roccaforte degli Orsini nella Toscana meridionale. Lo stallo durò fino ai primi di maggio. Gli aragonesi si riorganizzarono e quindi sconfissero il Sanseverino a Montorio Romano riconquistando Filacciano, Fara Sabina e Torrita. Innocenzo VIII capì che le prospettive di vittoria erano svanite e iniziò a preparare la pace. Il castello di Filacciano e la sua torre furono prontamente riedificati dagli Orsini.

Per trovare altre notizie storiche di Filacciano bisogna andare oltre il 1500.

Nel 1528, infatti, sotto la Signoria degli Orsini accadde un episodio che vale la pena di essere raccontato. Ovvero la storia, documentata, di una povera donna di Filacciano accusata di stregoneria, accusa che la portò dapprima ad essere bandita da Filacciano e poi alla morte per mano della Santa Inquisizione.

Cliccare sul link per andare a leggere la triste storia di Isabella Bellezza Orsini.

Gli Orsini furono signori di Filacciano per duecento anni, cioè fino al 1544, anno in cui Giovanni Francesco Orsini vendette il castello al nobile Antimo Savelli, allora IX signore di Albano. Antimo purtroppo morì nello stesso anno lasciando in eredità il castello al figlio Antonello, X signore di Albano e coniugato con Virginia Orsini dalla quale ebbe Cristoforo, XI signore di Albano che morì nel 1591. Nel 1593 Cinzia D’Alessandro Crescenzi, vedova di Fabrizio Orsini che aveva ricevuto in dono il castello dalla nonna Elena Orsini (prima moglie di Niccolò II – VI Conte di Pitigliano), vendette a Filiberto e Filippo Naldi della Baldissera il feudo di Filacciano per ventotto fiorini d’oro riservandosene però il titolo (probabilmente perché i Naldi della Baldissera non erano una famiglia nobile).

Nel 1674, con atto del notaio Malvezzi, i Naldi delle Baldissera lo rivendettero all’antica famiglia patrizia dei Muti Papazzurri il cui simbolo araldico, la mezzaluna, è ancora visibile sui cippi di pietra innanzi all’arco d’ingresso della piazza, innanzi all’arco del palazzo Del Drago e innanzi al portone della chiesa parrocchiale.

Pompeo Muti Papazzurri assunse il titolo di Marchese di Filacciano. era già stato eletto capo del rione di Trevi, come suo padre e suo nonno prima di lui, e di quello di Sant’Eustachio. Importantissimo fu il suo contributo alla costruzione del Palazzo Muti Papazzurri in piazza della Pilotta, poiché tra il 1678 e il 1685 ricoprì in successione gli incarichi di Maestro delle strade, Conservatore della Municipalità di Roma, Gonfaloniere del popolo romano e, infine, Custode dell’Arce e dell’area capitolina. Pompeo sposò Maria Isabella Massimo, considerata una delle donne più belle del suo tempo e per questo descritta nell’anonima Gloria delle dame romane e inclusa nella collezione di ritratti di nobildonne romane esposti nella cosiddetta “galleria delle belle” di Palazzo Chigi ad Ariccia.

I Muti Papazzurri furono la famiglia che più portò splendore a Filacciano.

Il rapporto professionale che intercorse tra l’architetto Matthia de’ Rossi[5], allievo prediletto della “bottega” del Bernini, e i Marchesi di Filacciano (Pompeo Muti Papazzurri e suo figlio Girolamo) portò ad un significativo intervento urbanistico nel feudo familiare. A lui si deve la progettazione ed a loro la realizzazione, nel 1677, della bellissima piazza che si apre sul palcoscenico naturale della scalinata e del palazzo. Matthia de’ Rossi progettò la piazza allineando lungo un unico asse l’arco di ingresso del palazzo con l’arco di ingresso alla piazza e con la fontana del Mascherone. Un asse che secondo il celebre architetto avrebbe dovuto guidare il futuro sviluppo del borgo. Ai Muti Papazzurri si deve anche la trasformazione del castello in palazzo nobiliare e l’edificazione della Chiesa di Santa Maria Assunta, adiacente al palazzo e ad essa collegata per permettere alla nobile famiglia di assistere alle funzioni.

Durante questi eventi gioiosi, però, accadde un grave lutto che segnò l’inizio del decadimento del casato: il 13 settembre 1706 morì il monsignore Giovanni Muti Papazzurri, fratello maggiore di Pompeo e principale protagonista dell’ascesa familiare. Questo lutto innescò una guerra fratricida tra Pompeo e il fratello Scipione, che richiesero la successione legittima per via giudiziaria presso il Tribunale della Curia Capitolina. La famiglia crollò rapidamente in una fase di crisi economica e scarso impegno pubblico

Da Girolamo il feudo passò nelle mani del figlio Curzio, alfiere, che sposò Anna Maria Origo, nobildonna nota ai tempi per le proprie qualità morali, da cui il marchese ebbe due figli maschi, Girolamo e Pompeo. La situazione economica molto pesante a causa dei debiti contratti per mantenere il cospicuo patrimonio edilizio spinse Curzio a scelte economiche drastiche, che portarono gran parte del vasto patrimonio artistico ed edilizio posseduto dalla famiglia a un destino precario per l’assenza di manutenzione.

Periodo francese

Durante il periodo francese Filacciano fece parte del Dipartimento del Tevere. A seguito del cosiddetto Editto di Saint Cloud emanato da Napoleone nel 1804 nacque l’attuale cimitero di Filacciano in prossimità dell’antica chiesa di Sant’Egidio. L’editto stabiliva infatti che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati ed arieggiati e che fossero tutte uguali. questo editto aveva quindi due motivazioni alla base. una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica. La gestione dei cimiteri veniva dunque definitivamente assegnata alla pubblica amministrazione e non più alla Chiesa.

Età moderna

Nel 1810, sotto il pontificato di Pio VII, Girolamo, figlio di Curzio, pressato dai debiti, arrivò a disfarsi del feudo di Filacciano e, gravemente malato, si ritirò in Marino.

Filacciano diviene di proprietà del monsignore Carlo Mauri, originario di Filacciano e sostituto della segreteria di Stato all’epoca del cardinale Consalvi, che provvide al restauro del castello. Carlo Mauri era discendente da una famiglia originaria di Parma da tempo residente a Filacciano.

Dalla Collezione di pubbliche disposizioni emanate in seguito al motu proprio di N.S. papa Pio VII in data 6 luglio 1816 sulla organizzazione della amministrazione pubblica relativa al riparto dei governi e delle comunità dello Stato pontificio con i loro rispettivi appodiati risulta che Filacciano faceva parte della Delegazione di Viterbo, che il comune di residenza del governatore era Civita Castellana e che i comuni uniti ai diversi luoghi di residenza erano Castel Sant’Elia, Filacciano con Torrita e Stabbia (antico nome dell’attuale Faleria).

Nel 1830 Carlo Mauri passò a miglior vita e quindi, nel 1833, Filacciano passa per enfiteusi ai Franci, parenti della famiglia Mauri.

Nel 1843 Francesco Mauri decise di vendere il palazzo al principe Domenico Orsini.

Nel 1852 Domenico Orsini vendette il palazzo ed il titolo nobiliare al cavaliere Giuseppe Ferrajoli che diviene Marchese di Filacciano con i relativi diritti e onorificenze. Nato a Priverno nel 1798 divenne computista presso la potente famiglia dei Torlonia. Particolarmente abile nell’amministrazione si guadagnò presto i favori del Principe Alessandro che gli permise di abitare dal 1840 al 1855 nello stesso palazzo Torlonia a piazza Venezia. il costante appoggio del principe Torlonia gli permise di acquistare palazzo e titolo da Domenico Orsini, cognato di Alessandro Torlonia.

Giuseppe Ferrajoli ebbe l’incarico di dirigere, per la sua competenza economico-finanziaria, il Monopolio di Stato dei sali e dei tabacchi. Fu Consigliere del Comune di Roma nel primo municipio istituito nel 1847 da Pio IX ed anche consigliere fondatore della Cassa di Risparmio di Roma e della grande biblioteca di Palazzo Ferrajoli.

Si noti che un suo pronipote, anch’esso a nome Giuseppe, vivente, si fregia tutt’oggi del titolo di Marchese di Filacciano.

Subito dopo, nel 1853, il Marchese Ferrajoli decide di vendere il feudo ed il palazzo tenendo però per se il titolo nobiliare di Marchese di Filacciano.

Con atto di vendita del 1853, Filacciano diviene possedimento del Principe di Mazzano ed Antuni, don Filippo Massimiliano Del Drago, coniugato con Maria Milagros Munoz di Borbone.

Nel 1870 Filacciano entra a far parte del Regno d’Italia fino al giugno 1946 quando, a seguito delle votazioni referendarie, fu proclamata la Repubblica italiana.

A don Filippo succedette il figlio don Francesco che provvide al restauro del palazzo. Don Francesco non ebbe figli ed i possedimenti di Filacciano passarono al nipote Clemente che sposò Giacinta Ruspoli. Nel 1930 un incendio danneggiò gravemente l’edificio; una lapide posta nel sottopasso del palazzo ricorda il pericolo scampato dai tre figli del principe don Clemente Del Drago, Milagros, Francesco ed Alessandro.

Alla morte di Clemente[6], i due figli si dividono i possedimenti di Filacciano. Don Francesco sposa Maria Piacitelli in prime nozze e Anna Maria in seconde mentre don Alessandro sposa Laura Lancellotti. da quest’ultimi discende l’attuale proprietario del palazzo, don Clemente Del Drago, principe di Mazzano e Antuni, Marchese di Riofreddo, di Ronciglianello, di Castel Diruto e di Sant’Agnese.

Le ultime due tappe importanti per la storia di Filacciano sono l’approvazione del regolamento edilizio e del programma di fabbricazione (decreto provveditoriale del 20 gennaio 1971, n. 6360) nel 1971 e l’adozione del piano regolatore generale (delibera del Consiglio comunale del 7 maggio 1988, n. 29) nel 1988.

Di un certo interesse perchè singolare è l’attuale stemma del Comune di Filacciano, rinvenuto su antichi documenti presso l’Archivio di Stato. E’ costituito da un compasso e da cinque stelle con la legenda “COMMUNITAS FELICIANI“. Nella parte alta dello stesso è visibile una croce e nella parte bassa la mezzaluna simbolo dei Muti Papazzurri. Pertanto tale stemma risale al periodo in cui tale famiglia esercitò il potere su Filacciano e la sua comunità.